06.1 Il neorealismo

La tendenza cinematografica più importante del secondo dopoguerra ebbe luogo in Italia negli anni 1945-1951: il neorealismo. Esso non fu un movimento compatto e organizzato come altri che lo avevano preceduto, ma senza dubbio creò un diverso approccio al cinema di finzione ed ebbe un’influenza enorme e duratura nel cinema mondiale. Dopotutto durante il regime fascista nel cinema, come pure nella letteratura, si era favorito un certo impulso realista, basti pensare a film come Quattro passi tra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti, I bambini ci guardano (1943) di Vittorio De Sica, Ossessione (1942) di Luchino Visconti.

Immagine dal film Ossessione (1942) di Luchino Visconti. Film considerato precursore del neorealismo.

Il movimento neorealista può essere distinto in due fasi: una prima che affronta temi del più recente passato, gli anni della guerra, la Resistenza… ed una seconda, a partire dal 1948, che affronta invece temi di rilevanza sociale; Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini e Ladri di Biciclette (1948) di Vittorio De Sica, sono i film più rappresentativi di queste due fasi.

Nell’Italia uscita dalla guerra e dalla dittatura, si sentiva il bisogno di una rinascita politica e sociale, cineasti e registi vollero farsi artefici di questo rinnovamento. Proposero un cinema che scavava nella realtà del presente e del più recente passato, portando alla luce storie, temi e personaggi di quel mondo su cui bisognava agire, il cinema neorealista si caratterizza fin da subito per il suo forte impegno sociale.

Roma, 4 giugno 1944

L’industria cinematografica italiana era stata messa in ginocchio dalla guerra, il mercato nazionale invaso da film americani, gli studios di Cinecittà erano andati distrutti, per questo i neorealisti scelgono di riportare la cinepresa fuori dagli studi, di tornare a girare per strada e nelle campagne, con attrezzature leggere ed economiche. Dopo anni di doppiaggio di film stranieri, gli italiani, avevano ormai perfezionato l’arte della sincronizzazione del sonoro, le troupe potevano quindi girare in esterni e registrare i dialoghi in fase di postproduzione. Immagini vere dell’Italia di quegli anni fanno da cornice a molti film neorealisti che divengono così preziosi documenti storici.

Scena finale del film Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini

Fu il critico francese André Bazin, a far notare, più di ogni altro, quale fosse la vera portata innovativa del movimento neorealista, concentrando la sua analisi critica piuttosto che sugli aspetti tecnici, estetici o stilistici, sul nuovo approccio che questi film mostravano nelle modalità del racconto cinematografico. Bazin, riprendeva le idee di Cesare Zavattini, lo sceneggiatore di De Sica e il più instancabile difensore dell’ estetica neorealista: Zavattini voleva un cinema che presentasse il dramma nascosto negli eventi quotidiani, come l’acquisto di un paio di scarpe o la ricerca di un appartamento.

Una scena dal secondo episodio del film Paisa’ di Roberto Rossellini

Ideali sintetizzati in quest’aneddoto raccontoci dallo stesso Zavattini. Un noto produttore americano gli disse:

– Da noi la scena di un aereoplano che passa viene concepita così: passa un aereplano…mitragliatrice che spara… l’aereoplano cade. Da voi: passa un aeroplano… l’aeroplano passa di nuovo…l’aeroplano passa ancora una volta.- E è vero. Ma siamo ancora indietro. Non basta far passare l’aeroplano tre volte, occorre farlo passare venti volte.(1)Cesare Zavattini, Umberto D., Fratelli Bocca Editori, 1953.

Si ritiene di solito che il tipico film neorealista sia girato in esterni, con attori non professionisti e inquadrature grezze, improvvisate, ma in realtà film con queste caratteristiche sono ben pochi: la maggior parte delle scene in interni è girata in set ricostruiti in studio e illuminati con cura e il dialogo è quasi sempre doppiato, permettendo un controllo anche a riprese ultimate; la voce del protagonista di Ladri di biciclette, ad esempio, era di un altro attore. Anche se alcuni interpreti sono effettivamente non professionisti, più comunemente si ha quella che Bazin chiama la tecnica dell’amalgama, in cui attori non professionisti sono mescolati a divi come Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Nel complesso, il neorealismo ricorre all’artificio tanto quanto altri stili cinematografici.

Un primo piano di Anna Magnani in Roma città aperta

Inoltre, molti film sono montati rispettando le norme dello stile classico hollywoodiano. Anche se poche immagini neorealiste hanno il rigore compositivo di La terra trema, quasi sempre esse presentano un accurato equilibrio tra i vari elementi che vi appaiono. Anche quando sono riprese in esterni, le scene contengono fluidi movimenti di macchina, un nitore impeccabile e un’azione scandita su più piani. È tipico del cinema neorealista l’uso di maestose colonne sonore che ricordano l’opera lirica nel modo in cui sottolineano lo sviluppo emotivo di una scena.

scena dal film La terra trema (1948) di Luchino Visconti

Le maggiori innovazioni del neorealismo risiedono nell’articolazione del racconto: un motivo ricorrente è quello della coincidenza, come quando in Ladri di biciclette, Ricci e Bruno incontrano per caso il ladro vicino alla casa della santona che sono andati a trovare. Questi sviluppi narrativi, che rinnegano il logico incatenarsi degli eventi tipico del cinema classico, sembrano più obiettivamente realistici e riflettono la casualità degli incontri nella vita quotidiana.

Oggetto vivo del film realistico è “il mondo”, non la storia, non il racconto. Esso non ha tesi pre-costituite perché nascono da sé. Non ama il superfluo e lo spettacolare , che anzi rifiuta; ma va al sodo. Non si ferma alla superficie, ma cerca i più sottili fili dell’anima. Rifiuta i lenocini e le formule, cerca i motivi che sono dentro ognuno di noi. Il film realistico è in breve il film che pone e si pone dei problemi: il film che vuole far ragionare.” (2)Roberto Rossellini, Due parole sul neorealismo, in Retrospettive, n. 4 , aprile 1953.

A questa tendenza va aggiunto l’uso massiccio dell’ellissi: i film neorealisti spesso trascurano le cause degli eventi a cui assistiamo. Come ha notato Bazin, il massacro di una famiglia di contadini da parte dei tedeschi in Paisà (1946) è rivelato all’improvviso e in maniera scioccante quando i partigiani, appostati in un campo in attesa di un aereo, trovano un neonato che piange accanto ai corpi senza vita dei genitori. L’allentarsi della linearità della trama è forse più evidente nei finali volutamente irrisolti: a metà di Roma città aperta, Francesco sfugge ai fascisti, ma poi non se ne sa più nulla; in Ladri di biciclette, Ricci e Bruno si perdono tra la folla senza aver ritrovato la bicicletta: come tireranno avanti, il film non lo dice.

Anche per raccordare le scene i neorealisti utilizzano un’interpunzione di tipo hollywoodiano, almeno formalmente, ma diversa da questa nei contenuti: la scena B segue alla scena A semplicemente per il fatto di essere avvenuta dopo, non perché la scena A ne sia la causa. Gran parte di Ladri di biciclette ruota attorno alla ricerca della bicicletta rubata, dal mattino al tardo pomeriggio, seguendo la cronologia della giornata. Anche le sequenze finali di Germania anno zero (1947), il terzo film di Rossellini nel dopoguerra, sono caratterizzate da questo andamento episodico: il piccolo Edmund, che riassume in sé la confusione morale della Germania sconfitta, abbandona la famiglia e vaga per le strade di Berlino.

Immagine dal film di Roberto Rossellini Germania anno zero (1948). Il piccolo Edmund vaga per le macerie della città.

Gli ultimi quattordici minuti del film lo seguono attraverso un’unica notte fino al mattino successivo, concentrandosi su avvenimenti casuali. Edmund guarda una prostituta che adesca un cliente, gioca a campana nelle strade vuote, vagabonda tra le rovine degli edifici, tenta di unirsi ad altri ragazzi in una partita a pallone, fino a quando si uccide buttandosi dalla cima di un edificio semidistrutto dopo aver visto portare via la bara di suo padre. Benché il suicidio sia una conclusione narrativa tradizionale, Rossellini ci conduce ad esso attraverso un film fatto di avvenimenti quotidiani, colti quasi per caso.

Rossellini durante le riprese di Germania anno zero (fonte: Museo Nazionale del Cinema di Torino)

Nel cinema classico si fa grande attenzione all’economia del racconto, tutto è funzionale alla narrazione, anche nei momenti di passaggio si possono cogliere elementi utili a collegarne le varie fasi. Non è così nei film neorealisti che tendono a riportare tutti gli eventi sullo stesso livello, la cinepresa indugia su situazioni ordinarie, comportamenti quotidiani, ma che spesso si rivelano le scene più intense del film.

Bazin fu eloquente nel dire che l’esplorazione di Roma in Ladri di biciclette permette allo spettatore di notare la differenza tra l’andatura di Bruno e quella di Ricci. In Umberto D. (1952),una scena è dedicata al risveglio della cameriera che inizia il suo lavoro quotidiano in cucina: Bazin elogiò l’indugiare della macchina da presa su micro-azioni insignificanti che il cinema non mostra mai. Questo approccio non ortodosso alla narrativa consentiva ai neorealisti di attrarre l’attenzione dello spettatore sui dettagli irrilevanti di cui è fatta la vita quotidiana. Il neorealismo si sforzava di descrivere la vita comune in tutte le sue sfumature.

Immagine dal Umberto D. (1952) di Vittorio De Sica

Le soluzioni narrative e stilistiche del neorealismo ebbero grande influenza sul cinema moderno internazionale che sarebbe sorto di lì a poco. Le riprese in esterni con doppiaggio in studio, l’amalgama fra attori professionisti e non, le trame fondate sulla casualità, le ellissi, i finali aperti, le microazioni e l’alternanza esasperata di diversi toni drammatici sono tutte strategie che sarebbero state sviluppate nei quarant’anni successivi da autori di tutto il mondo.

Riferimenti bibliografici e sitografia

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Lucilla Albano, L’Europa e la concezione moderna della regia (1945 – 1969), in Il secolo della regia. La figura e il ruolo del regista nel cinema , Marsilio Editori, Venezia 1999.

André Bazin, Il realismo cinematografico e la scuola italiana della Liberazione, in Che cos’è il cinema? presentazione, scelta dei testi e traduzione di Adriano Aprà, Milano, Garzanti, 1999.

André Bazin, Ladri di biciclette, in Che cos’è il cinema? presentazione, scelta dei testi e traduzione di Adriano Aprà, Milano, Garzanti, 1999.

André Bazin, Santi lo si è solo dopo, in Che cos’è il cinema? presentazione, scelta dei testi e traduzione di Adriano Aprà, Milano, Garzanti, 1999.

AA.VV., Sul neorealismo. Testi e documenti (1939 – 1955),quaderno n.59, X Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro 1974.

Giorgio De Vincenti, Cesare Zavattini: uomo totale e cinema del frammento, in Il concetto di modernità nel cinema, Pratiche Editrice, Parma 1993.

Cesare Zavattini,Umberto D., Fratelli Bocca Editori, 1953.

Roberto Rossellini,Due parole sul neorelismo, in Retrospettive, n.4, arpile 1953

Edoardo Bruno, Roberto Rossellini, in www.treccani.it

Bruno Roberti, Nicoletta Ballati, Vittorio De Sica, in www.treccani.it

Cristina Jandelli, Cesare Zavattini, in www.treccani.it

Lino Micciché, Luchino Visconti, in www.treccani.it

Francesco Costa, Anna Magnani, in www.treccani.it

Note

Note
1 Cesare Zavattini, Umberto D., Fratelli Bocca Editori, 1953.
2 Roberto Rossellini, Due parole sul neorealismo, in Retrospettive, n. 4 , aprile 1953.

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