05.5 Il cinema francese negli anni Trenta

L’ industria cinematografica francese, anche se tardi, risentì profondamente degli effetti della crisi economica mondiale. La produzione di film scese notevolmente nel corso degli anni ’30. Eppure in questi anni, diversi registi diedero il meglio di sé producendo opere che avrebbero avuto un’influenza determinante nella storia del cinema. Autori come René Clair, Jean Vigo, Jaques Feyder, Julien Duvivier, Max Ophuls o Marcel Pagnol, proprio a causa dell’indebolimento del sistema produttivo, si trovarono a lavorare in un contesto di ampia indipendenza e libertà creativa.

Terminata l’esperienza surrealista, la tendenza che maggiormente contraddistinse questo decennio, fu quella definita del realismo poetico. I film più vicini a questa tendenza trattano di personaggi semplici, spesso ai margini della società, come operai, piccolo borghesi, disoccupati ma anche criminali. Le occasioni di riscatto che si offrono loro si concludono quasi sempre in una definitiva sconfitta in un clima di amarezza e malinconia. Jean Gabin fu l’interprete ideale per questi film, con il suo aspetto da uomo del popolo, rude e romantico a un tempo. Dotato di un grande talento attoriale, fu il prediletto di molti dei migliori registi. Amatissimo dal pubblico incarnò una figura divistica del tutto opposta a quella delle grandi star di Hollywood.

Jean Gabin nel film di Julien Duvivier Il bandito della Casbah (1937).

L’estetica realista di questi film non rinuncia ad esprimere una forte soggettività dei personaggi che i registi rappresentano, il più delle volte, ricorrendo alle soluzioni linguistiche già sperimentate dall’impressionismo, Julien Duvivier e Marcel Carné sono i registi che maggiormente risentirono di questa tendenza. Mentre particolarmente originale fu l’opera del regista Jean Vigo, che pur nella sua breve esistenza ( morì a soli ventinove anni ) segnò profondamente la storia del cinema precorrendo molti di quelli elementi stilistici che saranno propri del cinema moderno.

Dopo i corti À propos de Nice (1930) e La Natation par Jean Taris (1931), Vigo diresse il mediometraggio Zero in condotta (1933). Ambientato in un grigio e soffocante collegio, il film racconta della ribellione innescata da quattro studenti la cui creativa vitalità e bisogno di affetto sono sistematicamente repressi e offesi  da adulti insensibili e ottusamente rigidi. Vigo seppe sfruttare le difficoltà produttive incontrate per costruire il suo stile personalissimo e innovativo. Fece ricorso ad apparecchiature leggere come il 16mm, rifiutò set ricostruiti imponendosi di filmare solo in ambienti reali, il racconto procede per balzi irregolari, scene apparentemente sconnesse, digressioni, ellissi narrative… a comporre un’idea di cinema diretta e spontanea, estremamente realistica evidente anche nel successivo ed incompiuto L’Atalante (1934), Vigo morì poco dopo aver ultimato le riprese.

Una celebre scena dal film L’Atalante (1934) di Jean Vigo

Questo é la storia d’amore, di abbandono e ricongiungimento, tra Jean capitano della chiatta L’Atalante e Juliette sua novella sposa. In questo come nel precedente film, il vivido realismo vigoniano riesce a trovare spunti surrealistici e ad abbandonarsi in scene di puro lirismo, come nella scena della battaglia dei cuscini | ►| o in quella finale in Zero in condotta, dove i ragazzi, marciando su i tetti, sembrano volere assaltare il cielo | ►|, o nella celeberrima sequenza subacquea di L’Atalante, dove Jean si tuffa nel fiume per rivedere l’immagine di Juliette sorridergli tra le acque in abito da sposa | ►|. Ritenuto antifrancese, Zero in condotta fu censurato fino al 1945, mentre l’incompiuto L’Atalante fu vittima di numerosi tagli e riedizioni che spesso ne alterarono la natura l’originale. Ma la lezione di cinema di Vigo, se non dai suoi contemporanei, poté pienamente essere accolta dagli autori della nouvelle vague e del neorealismo che seppero riscoprire e rivalutare la sua opera.

La battaglia dei cuscini dal film Zero in condotta (1933) di Jean Vigo

Assimilabili alla corrente del realismo poetico sono anche diversi film che Jean Renoir, secondogenito del celebre pittore, diresse in quegli anni in cui produsse i suoi maggiori capolavori. Nel corso della sua lunga carriera, che si espande dagli anni Venti fino ai Sessanta, Renoir realizzò numerosi film spaziando tra i generi più vari e attraversando diverse tendenze e movimenti, passando del surrealista Sur un air de Charleston (1927), alle fiabe impressioniste come La ragazza dell’acqua (1924) o La piccola fiammiferaia (1928), fino all’asciutto realismo di Nanà (1926), dal farsesco La purga al pupo (1931), alla graffiante critica sociale di La cagna (1931), per arrivare a quei primi grandi capolavori che più si avvicinano alla tendenza del realismo poetico come Boudu salvato dalle acque (1932), Toni (1934) o l’incompiuto La scampagnata (1936), ai quali si aggiungono i film caratterizzati da un sentito impegno politico come  La vita è nostra (1936), La Marsigliese (1936) e soprattutto La Grande Illusione (1937) , film prodotti durante il periodo del Fronte Popolare con il quale Renoir fu impegnato in prima persona. Le opere di Renoir furono comunque sempre caratterizzate da una ricerca personale e da una propria poetica che le distinsero sempre da quella dei suoi contemporanei e che ne marcano l’originalità rispetto ai generi e alle tendenze che il regista attraversò.

Una scena dal film La grande illusione (1937) di Jean Renoir con Jean Gabin ed Erich von Stroheim

Del 1939 è invece La regola del gioco, l’opera nella quale Renoir esprime in maniera più completa sia la sua interminabile ricerca linguistica che la sua poetica autoriale. Al momento dell’uscita in sala il film venne accolto malissimo sia dal pubblico che dalla critica, ma il tempo lo avrebbe trasformato in quello che François Truffaut definirà “il credo di ogni cinefilo, il film dei film(1)François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 2003.. La regola del gioco è il film dal quale partire per rileggere l’intera opera renoiriana e comprendere l’influenza che essa ebbe sul cinema moderno ed in particolare sul neorealismo e la nouvelle vague.

La trama del film mescola in un inedito amalgama dramma e commedia, humour e tragedia: un ricco marchese, impegnato a districarsi tra la moglie e l’amante, organizza una battuta di caccia nella sua tenuta di campagna. L’intimo Octave, interpretato dallo stesso Renoir, lo convince ad ammettere tra gli ospiti anche l’avviatore André Jurieu, che ha appena concluso con successo una trasvolata transoceanica e che è innamorato della moglie del marchese con cui ha avuto una breve relazione. In questa già intricata situazione si intrecciato le vicende del bracconiere Marceux che riuscito a farsi assumere nella servitù tenterà di sedurre proprio la moglie del guardiacaccia. Nella confusione generata un uomo perderà la vita. Il gioco di cui si parla è quello della vita in società, la regola quella di recitare sempre la propria parte ( “gioco” e “recitazione” si esprimono in francese con la stessa parola: “jeu”). Tutti i personaggi di questa farsa tragicomica non fanno altro che mentire, costantemente impegnati a non cedere alla tentazione di svelare le loro intime verità. Il più bravo in questo gioco è il marchese il più maldestro colui che ci rimetterà la vita.

“…Siamo in un’ epoca in cui tutti mentono: le ricette dei farmacisti, i governi, la radio, il cinema, i giornali … Perché dunque vorresti che noi, semplici individui, non si menta anche noi?

dice Octave ( interpretato dallo stesso Renoir) a Christine in una delle tante celebri battute del film. Nei dialoghi brillanti, tanto raffinati da apparire improvvisati, si rintracciano frammenti del pensiero più profondo e personale dell’autore, un pensiero che riflette non tanto sulla vita quanto sulla possibilità del cinema di rappresentarla. L’intera opera renoiriana è pervasa da questa ricerca che si esplicita nei continui riferimenti matalinguistici presenti nei sui film. Renoir, ad esempio, si serve con frequenza del teatro per mettere in evidenza la natura di messa in scena del suo cinema. In La regola del gioco è celebre la sequenza della danza macabra nel quale la Morte fa la sua comparsa tra i membri nella compagnia alludendo a quello che sarà l’epilogo del film.

Sequenza della danza macabra tratta da La regola del gioco (1939) di Jean Renoir.

Pupazzi meccanici, carillon, bizzarri orologi, sono un altro tema che ricorre con frequenza nei film di Renoir (Il marchese ne è un maniaco collezionista). Gli oggetti meccanici (soprattutto se antropomorfi) sembrano attrarre magneticamente l’attenzione di Renoir. Cos’è che il regista osserva con tanta curiosità in questi oggetti se non la vita che si riproduce in un oggetto inanimato? e quale oggetto meccanico potrebbe interessare così tanto un cineasta se non la cinepresa stessa? La continua e costante ricerca stilistica di Renoir parte proprio da questo dispositivo meccanico. La qualità dell’aspetto fotografico delle sue opere è il risultato di una conoscenza assoluta del mezzo stesso derivata da continue prove e sperimentazioni.

In occasione de La regola del gioco, Renoir riscoprì alcuni vecchi obiettivi del tutto simili a quelli che usavano i fratelli Lumière. Questi obiettivi gli permisero di ottenere una straordinaria profondità di campo, premessa senza la quale non avrebbe potuto realizzare quei piani sequenza che sono l’innovazione stilistica più evidente del film. Esemplare in questo senso è il piano sequenza che si svolge nel corridoio della tenuta.

Quest’opera da moralista va ancora, e forse soprattutto, ricordata per un virtuosismo tecnico tanto più considerevole in quanto nascosto dietro un’apparente noncuranza e facilità; la cinepresa sembra esser dovunque allo stesso tempo, a giocare briosamente con la profondità di campo, e intanto ad agire come una lente d’ingrandimento pronta a cogliere la vita intima di ogni personaggio.(2)Claude Beylie, I capolavori del cinema, Vallardi, Milano 1990.

un esempio di profondità di campo nel film La regola del gioco

Con Renoir nasce ufficialmente nel cinema la forma, fino allora sconosciuta o praticata inconsapevolmente, del piano sequenza, parola che deriva appunto dal francese e che significa identità fra inquadratura e sequenza. La durata dell’inquadratura senza stacchi e senza raccordi di montaggio permette di rappresentare l’intera durata temporale di una scena come se accadesse davanti a noi; mentre il movimento della cinepresa rappresenta meglio l’unità dello spazio in cui ci sembra di entrare.” e ancora: “Significativa nel piano sequenza di Renoir è anche l’importanza del fuori campo. I personaggi si muovono molto liberamente senza tener conto della cinepresa, vanno e vengono, entrano e escono dal quadro continuamente, col risultato che spesso non vediamo chi parla. Ne deriva un «effetto finestra», come se neppure il regista sapesse precisamente cosa sta accadendo.(3)Sandro Berardi, L’avventura del cinematografo,Marsilio, Venezia 2007.

Prendersi gioco della società e della morte stessa apparve del tutto fuori luogo in un momento in cui la minaccia della guerra si faceva sempre più reale, a ciò è certamente dovuto l’insuccesso del film. Ma fu anche la sua eccessiva modernità a far sì che non venisse compreso. Quello che a prima vista appare una satira farsesca è in realtà un film sul cinema stesso, ancorato alla storia più di quanto lo fossero molti altri film contemporanei. Le scene di caccia, i numerosi riferimenti all’origine austriaca di Christine o a quelle ebraiche della servitù, il crepuscolo di una classe sociale che il conflitto avrebbe cambiato per sempre e sopratutto la rappresentazione della Morte, sono elementi che fanno riferimenti ad un presente storico ben preciso. Renoir fu un regista estremamente permeabile al mondo esterno. Le sue sceneggiature restavano sempre pronte ad accogliere ogni spunto che l’ambiente circostante poteva offrire, i suoi personaggi venivano modellati sulla carne degli attori che gli avrebbero impersonati. Renoir inaugurava un modo di fare cinema che sarebbe stato trasmesso da Rossellini agli altri neorealisti e che la nouvelle vague avrebbe portato alle estreme conseguenze.

Riferimenti bibliografici e sitografia

D.Bordwell e K.Thompson, Francia, 1930-1945: il realismo poetico, il fronte popolare e l’occupazione, in Storia del cinema e dei film. Dalle origini al 1945,

Editrice Il Castoro, Milano 1998.

Sandro Bernardi, L’eredità del surrealismo , in L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio , Marsilio Editori, Venezia 2007.

Giorgio De Vincenti, Modernità di Jean Renoir, in Il concetto di modernità nel cinema, Pratiche Editrice, Parma 1993.

François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 2003.

Claude Beylie, I capolavori del cinema,Vallardi, Milano 1990.

Jean Renoir, La mia vita, i miei film, Marsilio, Venezia 1992.

Jaques Feyder , in www.it.wikipedia.org

Edoardo Bruno, René Clair, in www.treccani.it

Sandro Bernardi, Max Ophuls, in www.treccani.it

Marco Pistoia, Marcel Pagnol, in www.treccani.it

Aldo Tassone, Julien Duvivier, in www.treccani.it

Bruno Roberti, Jean Vigo, in www.treccani.it

Giorgio De Vincenti, Jean Renoir, in www.treccani.it

Tullio Kezich, Jean Gabin, in www.treccani.it

La regola del gioco , in www.it.wikipedia.org

Note

Note
1 François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 2003.
2 Claude Beylie, I capolavori del cinema, Vallardi, Milano 1990.
3 Sandro Berardi, L’avventura del cinematografo,Marsilio, Venezia 2007.

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