05.4 Il cinema e lo Stato

Durante gli anni ’30 si assiste all’instaurarsi, in Europa, di diversi regimi totalitari. Nell’URSS, in Germania ed in Italia, il potere costituitosi individua nel cinema un potente mezzo di propaganda e se ne serve attraverso la censura ed il controllo della produzione.

Una pagina del giornale di propaganda “URSS in Costruction” del gennaio 1938. Il volto di Stalin campeggia sulla sala cinematografica.

Nell’URSS di Stalin, l’intera produzione cinematografica viene nazionalizzata e creato un rigidissimo sistema di censura. Non sono più permesse avanguardie e sperimentazioni, agli autori è imposto lo stile del realismo poetico. Molti registi della rivoluzione vengono fatti sparire, imprigionati o estromessi dall’industria filmica. Oltre a commedie musicali, si produssero in questo periodo soprattutto drammi storici incentrati sugli eroi della rivoluzione o sulle figure dei grandi zar. Il cinema sperimentale di Dziga Vertov non poteva trovare spazio nella nuova Russia. Del 1934 è il celebrativo Tre canti su Lenin, un documentario di propaganda dove Vertov abbandona, suo malgrado, quello spirito avanguardista che aveva contraddistinto le sue opere precedenti.

Rinunciando alle sperimentazioni, Vertov si concentra nella ricerca estetica volta soprattutto a coniugare musica e immagine, in un opera da molti ritenuta lirica e tra le migliori della sua filmografia. Ma Tre canti su Lenin fu l’ultimo lavoro importante di Vertov: inviso dal regime fu progressivamente messo in disparte pur non smettendo mai di lavorare. Si spense nel 1954 a causa di un cancro.

A causa del suo viaggio in occidente, Ėjzenštejn era guardato con sospetto dal nuovo regime. Egli preferì restare in silenzio per lungo tempo, dedicandosi soprattutto alla stesura dei suoi trattati teorici. Tornò alla regia solo nel 1938 con Alexander Nevskij, film che accantona le precedenti sperimentazioni linguistiche per adottare uno stile raffinato ma più convenzionale. Il popolo, che fino allora era stato il vero protagonista di tutti i suoi film, viene qui sovrastato dalla figura eroica di Nevskij. Lo scarto stilistico di questo film con la precedente produzione va ricercato proprio nelle pressioni esercitate dal nuovo potere politico.

Anche i suoi successivi lavori sono incentrati sulla figura di uno dei grandi zar di Russia: Ivan IV detto il Terribile. Il progetto di Ėjzenštejn prevedeva la realizzazione di tre lungometraggi, ma solo il primo film di questa trilogia,  Ivan il Terribile, Parte I (1944), che presentava il sovrano come un eroe nazionale, fu ben accolto dal regime. Mentre la produzione del secondo, La congiura dei Boiardi (1946), venne bloccata dalle autorità e distribuito postumo nel 1958. Il terzo film su Ivan il Terribile venne iniziato nel 1947, ma non venne mai completato per via della morte del regista avvenuta nel 1948.

In Germania, il regime, non nazionalizzò l’industria cinematografica, ma andò via via acquistandola dai privati. La censura non impone agli autori particolari tematiche o stili, ma vieta loro di affrontare argomenti politicamente sensibili. Ai cittadini di origine ebraica fu vietato per legge di lavorare nel cinema, successivamente furono ritirati dal mercato i film alla cui produzione avevano preso parte. Molti dei più valenti registi emigrarono negli Stati Uniti per continuare la loro carriera, costretti per motivi razziali o perché non disposti a sottostare alle nuove leggi imposte dal regime. Si produssero in questi anni film di puro intrattenimento, che il più delle volte si facevano gioco dei nemici della Germania, dell’Inghilterra e degli Inglesi soprattutto. Non mancarono di esser prodotti film più apertamente propagandistici che esaltavano le virtù della razza ariana e denigravano gli ebrei, ma questi costituirono, contrariamente a quanto si possa supporre, solo una minima parte della produzione tedesca coeva. Un caso a parte fu quello di Leni Riefenstahl che nel 1934, in occasione del sesto congresso nazionale del partito a Norimberga, ricevette dallo stesso Hitler l’incarico di realizzare un documentario sull’evento: Il trionfo della volontà (1935).

Come pure per il successivo Olympia (1936), la Riefenstahl potrà contare su uno straordinario dispiegamento di uomini e mezzi, le tecnologie più moderne vennero impiegate per le produzioni di questi documentari che, seppur privi di messaggi propagandistici espliciti e diretti, sono film dotati di uno straordinario potere suggestivo. L’analisi di alcuni aspetti contenutistici e linguistici può permetterci di comprendere come un certo discorso propagandistico possa agire su uno spettatore qualsiasi pur rimanendo implicito.

Leni Riefenstahl durante le riprese di Olympia (1936).

Nei titoli di testa de Il trionfo della volontà il film viene definito “documentario” quindi  una rappresentazione obiettiva di avvenimenti realmente accaduti e non ricostruiti. L’intero evento (scenografie, coreografie, discorsi ) venne concepito proprio in vista delle riprese, e ciò costituisce una prima alterazione della realtà, una seconda avviene sul piano linguistico: la Riefenstahl utilizza alcuni espedienti comuni nel cinema di finzione, ma che se applicati ad un documentario ne alterano irreversibilmente la presunta obiettività. Prendiamo ad esempio la sequenza del discorso pronunciato da Hitler nel quarto giorno, nella vasta arena contenente oltre centocinquantamila uomini tra membri delle SS e delle SA. L’intera sequenza è organizzata secondo una classica dialettica di campo-controcampo,  in un continuo alternarsi di immagini del Führer e degli  auditori. Il primo ci viene costantemente inquadrato dal basso verso l’alto (vennero predisposte delle buche nei pressi del podio per ottenere delle angolazioni maggiori ), ciò conferisce una certa solennità alla figura di Hitler accentuata dal fatto che gli auditori vengono, al contrario, inquadrati dall’alto verso basso,  l’utilizzo di teleobiettivi fa sì che la folla appaia appiattita e fin quasi schiacciata sul fondo. Inoltre a questa sono dedicate per lo più inquadrature panoramiche e campi totali, mentre l’uso del primo piano, fatta eccezione per qualche particolare scenografico, è riservato quasi esclusivamente ad Adolf Hitler, che sembra così dominare incontrastato sulla folla anonima.

Il successivo Olympia, diviso in due parti: Olympia. I parte ed Apoteosi di Olympia. II parte *, documenta l’undicesima edizione delle Olimpiadi moderne tenutesi in Germania nel ’36. L’occasione fu colta dal regime per mostrare il volto pacifista e rassicurante di un Paese rinato, ma che segretamente si preparava alla guerra ( prova ne è il fatto che tutte le immagini riguardanti gli atleti provenienti dalla Cecoslovacchia, che sarebbe stata invasa da lì a poco, furono eliminate dal montaggio finale). Nel filmato è, invece, dato grande risalto alle vittorie dell’atleta americano di colore Jesse Owens, come a suggerire che la Germania avesse accantonato le sue teorie razziali. Ma non vi alludono forse i prologhi dei due filmati con quei corpi nudi di giovani sani e belli, così carichi di sensualità? L’intero film è un’esaltazione del corpo  e della bellezza fisica. Ciò è particolarmente evidente nella sequenza dei tuffi dove i corpi degli atleti sembrano trasfigurarsi in una danza armoniosa di forme e volumi. La ricerca estetica della Riefenstahl ha trasformato le prospettive distorte e deformi della recente esperienza espressionista in ordinate geometrie, e i mostri che le animavano sembrano essersi dissolti nella “solare” figura di Adolf Hitler.

Negli anni Venti, il regime fascista, si era disinteressato quasi totalmente al cinema tranne che per l’aver creato L’Unione Cinematografica Educativa, il LUCE, per la produzione di documentari e cinegiornali. Ma quando la Depressione colpì l’Italia il governo si diede da fare per sostenere economicamente l’industria ed il mercato nazionale, invaso da film stranieri: furono forniti aiuti economici all’industria, adottate misure protezionistiche e disposti premi per i film di miglior incasso.

La posa della prima pietra di Cinecittà, 29 gennaio 1936

Il regime si rese ben presto conto che la cinematografia poteva essere un’arma potentissima per influenzare le masse. Con l’obiettivo di fornire maggior visibilità internazionale ai film italiani venne così creata, a Venezia, nel 1932, la Mostra Internazionale di Arte Cinematografica (primo festival cinematografico del mondo). Per sostenere e controllare la produzione nazionale venne costituita la Direzione Generale per la Cinematografia che creò gli studios di Cinecittà, il Centro Sperimentale di Cinematografia, una delle prime scuole di cinema al mondo, e la rivista critica Bianco&Nero.

Non mancarono di essere prodotti lungometraggi a scopo celebrativo e propagandistico. È il caso di Camicia nera (1933) di Giovacchino Forzano, film corale realizzato per il decennale del partito fascista e che ricostruisce in maniera del tutto faziosa gli ultimi dieci anni della storia d’Italia; oppure di film come Vecchia guardia (1934) di Alessandro Blasetti o Luciano Serra pilota (1938) di Goffredo Alessandrini nei quali si esaltano i valori militari e lo spirito patriottico. Questi film rappresentarono, però, solo una minima parte della produzione nazionale. Vennero accolti entusiasticamente dalla critica coeva, con molta indifferenza dal pubblico e non ebbero mai una distribuzione internazionale come avvenne invece per le opere di Leni Riefenstahl.

Come Stalin, anche Mussolini visionava ogni singolo film, ma di rado li censurava. Gli autori poterono perciò muoversi in un contesto di relativa libertà. In sostanza il fascismo, a differenza di quanto avveniva nell’URSS ed in Germania, non si appropriò dell’industria cinematografica, ma si limitò a sovvenzionarla lasciandola, in finale, nelle mani dei privati.

È interessante notare come in questi stati, retti da regimi totalitari, la propaganda più aperta e diretta venisse affidata alla ristretta produzione di documentari e cinegiornali, mentre veniva perlopiù evitata nei film di finzione. Ma in molti di questi un discorso fortemente ideologico emerge da un’analisi più profonda. Ciò è particolarmente visibile nei film di ambientazione storica, genere molto supportato dai regimi. Dietro l’epopea dei grandi zar di Russia, dietro la magnificenza dell’antica Roma, è possibile scorgere le figure di Stalin o Mussolini, e dei loro popoli virtuosi. In sostanza, nel ricostruire il passato, si tende a rappresentare idealmente il presente. Avviene così, paradossalmente, che proprio quei film che si propongono come documento del reale siano pura finzione, mentre i film di finzione divengono un utilissimo strumento di analisi della realtà storica. Nel modo in cui vengono rappresentati i personaggi, nella scelta dell’ambientazione storica, ma anche in ciò che viene evitato di rappresentare è possibile procedere all’analisi delle società in cui questi film sono stati prodotti e fruiti. Perché 1860 di Blasetti, è il solo film di epoca fascista che racconta del Risorgimento, mentre la maggior parte dei film viene ambientata durante il Rinascimento o nella Roma Imperiale? E perché, nella Russia di Stalin, si preferiva esaltare le figure dei grandi zar piuttosto che gli eroi della Rivoluzione?

Un’analisi dei film della trilogia di Ivan il Terribile di Ejzenštein, potrebbe fornirci molte informazioni, non già sul celebre zar, ma sul modo in cui Stalin amava o non amava farsi rappresentare e quindi farci un’idea di ciò che il popolo poteva pensare del suo leader. Uno spettatore X, innanzi ad un film come questo, avrebbe probabilmente ammirato il carisma di Ivan, avrebbe partecipato alla sua avventura riconoscendosi in quel popolo fedele ed industrioso che si batteva per il suo zar, uscendo dal cinema lo avrebbe poi riconosciuto nel suo capo, inconsciamente trasportato dall’ammirazione.

Immagine dal film di Sergej Ėjzenštejn Ivan il Terribile (1944).La figura eroica del sovrano in primo piano sul fondo il popolo in marcia.

Il cinema di questi anni, in Russia, Germania, Italia, è sostanzialmente privo di innovazioni stilistiche, ma lo studio dei film di questo periodo ci permettere di comprendere in quanti e quali modi il cinema possa essere utilizzato a fini propagandistici espliciti o latenti che siano. Inoltre, il fatto che i regimi di queste nazioni abbiamo avvertito il bisogno di controllare ed di appropriarsi dell’industria cinematografica, diventa indicatore dell’importanza assunta dal cinema come fenomeno sociale. Non bisogna inoltre dimenticare che simili forme di cinema propagandistico furono promosse anche in stati retti da governi democratici, in particolar modo durante gli anni dei conflitti mondiali.

Un ottimo esempio di ciò può essere rappresentato dalla serie Why We Fight. Si tratta di sette documentari, prodotti tra il 1942 e il 1945, commissionati dal governo degli Stati Uniti. Ad occuparsi della loro realizzazione fu il celebre regista hollywoodiano  Frank Capra che ricevette l’incarico direttamente dal generale Marshall. A seguito del loro incontro, Capra venne sottoposto alla visione del Il trionfo della volontà. Fu proprio il film della Riefenstahl, che Capra giudicò “terrificante”, ad accendere il suo animo e a fargli avvertire il suo incarico come una vera e propria missione. I documentari della serie che Capra diresse e codiresse rimontando perlopiù materiale di archivio,  sono costruiti come una risposta al più celebre filmato di propaganda nazista. Il primo film della serie, Why We Fight: Prelude to the War ,  ricevette nel 1943 l’Oscar come miglior documentario.

Può essere interessante confrontare questi filmati con i Giornali LUCE | ►| che furono prodotti nello stesso periodo. Anche il cinema di animazione per via della sua possibilità di rappresentare qualsiasi realtà, vera o inventata che fosse, con linguaggio semplice e attraente, gradito anche al pubblico più giovane e meno colto, fu più volte utilizzato a fini propagandistici. Abbiamo già visto il caso del documentario d’animazione L’affondamento del Lusitania di Winsor McCay, potremmo aggiungervi i cartoni animati della serie Kinopravda realizzati da Dziga Vertov, oppure quello commissionato alla Walt Disney:  Education for Death: The Making of the Nazi | ►| (1943). Non dobbiamo però dimenticare che la propaganda più efficace è quella meno visibile che si nasconde, magari, tra le pieghe di una storia di finzione.

Riferimenti bibliografici e sitografia

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AA.VV., La storia al cinema. Ricostruzione del passato / interpretazione del presente, a cura di Gianfranco Miro Gori, Bulzoni, Roma 1994.

Roberto Nepoti, La pianificazione del cinema di propaganda, in Storia del documentario, PATRON EDITORE, Bologna 1988.

Roberto Nepoti, La propaganda di guerra sul fronte alleato, in Storia del documentario, PATRON EDITORE, Bologna 1988.

André Bazin, Il mito di Stalin nel cinema sovietico, in Che cos’è il cinema? presentazione, scelta dei testi e traduzione di Adriano Aprà, Milano, Garzanti, 1999.

André Bazin, A proposito di Why We Fight, in Che cos’è il cinema? presentazione, scelta dei testi e traduzione di Adriano Aprà, Milano, Garzanti, 1999.

Pierre Sorlin,. Il Risorgimento italiano, in La storia al cinema. Interpretazione del passato, a cura di Gianfranco Miro Gori, La Nuova Italia 1984.

Cinema di propaganda, in www.it.wikipedia.org

Cinema nel Terzo Reich, in www.it.wikipedia.org

Leni Riefenstahl, in www.it.wikipedia.org

Bill Krohn, Olympia, in www.treccani.it

Adriano Aprà, Bruno Roberti, Documentario, in www.treccani.it

Why We Fight, in www.en.wikipedia.org


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