I movimenti, le sperimentazioni, le avanguardie che interessarono le cinematografie europee degli anni Venti, non solo introdussero nuove possibilità linguistiche, ma fecero sì che accanto al pubblico di massa si creasse anche un pubblico di nicchia, interessato al cinema non solo come svago, ma anche come prodotto artistico. Questi movimenti si svolsero perlopiù entro i confini nazionali, ma ben presto le novità linguistiche sperimentate da questo o quel movimento cominciarono ad essere assimilate anche all’estero favorite anche dal fatto che gli stati europei si trovavano a vivere un clima di rinnovata pace e collaborazione. Così, sul finire degli anni venti, i cineasti del Vecchio Continente potevano maturare e uno stile sempre più eclettico ed internazionalizzato. La Passione di Giovanna D’Arco (1928) di Carl Theodor Dreyer fu l’ultimo grande capolavoro del cinema muto europeo, l’opera che meglio seppe raccogliere e coniugare le variegate innovazioni e sperimentazioni linguistiche di quegli anni.
Carl Theodor Dreyer era nato a Copeneghen nel 1889 ed in Danimarca aveva cominciato la sua carriera. Già nel suo primo lungometraggio Il presidente (1918-20)|►|mostrava di avere una predilezione per le problematiche esistenziali. Aveva poi continuato a lavorare in Svezia e successivamente in Germania, dove si era fatto notare per L’angelo del focolare (1925). Fu grazie al successo di questo film, che in Francia si rivelò un vero e proprio trionfo, che la Société Genérale des Films gli affidò la realizzazione di un lungometraggio sull’ eroina nazionale: Giovanna d’Arco.
Nessun altro film potrebbe dirsi più europeo: la regia di Dreyer vi coniuga in le influenze delle avanguardie francesi, tedesche e russe. La scenografia, di matrice espressionista, è ridotta all’osso: ampi fondali bianchi su cui risaltano i pochi elementi della scena, la grata di una finestra, la sua ombra proiettata a terra bastano per evocare il simbolo stesso della cristianità. Riportano al kammerspiel i lunghi ed insistenti primi piani sugli attori. Dreyer scelse di farli recitare tutti senza trucco ( all’attrice vennero davvero rasati i capelli e subì un vero salasso).
Invece che attenuarle, il regista mette così in risalto le imperfezioni dei loro volti. Fa ricorso ad inquadrature decentrate e angolate verso l’alto in modo che essi appaiano ancora più minacciosi e mostruosi e per contrasto esaltino l’interpretazione intensissima di Renée Falconetti. La cinepresa resta magneticamente ancorata a quel viso, a quegli occhi. Dreyer gli scruta così a fondo tanto da render visibili i particolari della scenografia che si riflettono in essi. Sono occhi che riescono a parlare, a urlare, a sorridere nonostante la totale assenza sonora. Per il montaggio delle scene nella camera della tortura Dreyer sembra invece ispirarsi allo stile sovietico ed impressionista.
Il film fu proiettato per la prima volta il 21 aprile 1928 al Cinema Palads Teatret di Copenaghen. Fu l’unica volta che il film venne proiettato nella sua versione originale non censurata. Le vicissitudini di cui fu oggetto la pellicola furono numerose e, per certi versi, incredibili. Già in occasione della prima francese il film subì dei tagli, imposti dall’Arcivescovo di Parigi, e venne rimontato senza che Dreyer potesse opporsi. Il 6 dicembre 1928 il negativo originale, custodito presso gli studi dell’UFA a Berlino andò distrutto da un incendio. Dreyer riuscì a montare una nuova versione utilizzando scene alternative mai proiettate, ma anche questa copia andò perduta in un incendio. Fu nel 1951 che lo storico cinematografico Joseph-Marie Lo Duca trovò una copia della seconda versione nei sotterranei della Gaumont che rimontò e modificò, aggiungendo una colonna sonora poco adeguata. Ma per molti anni la copia di Lo Duca fu l’unica disponibile. Bisognerà attendere il 1981, quando un impiegato di un istituto psichiatrico nei pressi di Oslo scoprì per caso in un armadio delle vecchie pellicole. Solo tre anni più tardi, il Norwegian Film Institute si accorse che si trattava di una copia del negativo originale andato perduto a Berlino.
L’avvento del sonoro che imponeva nuove modalità produttive e che in un primo momento rese più difficoltosa la distribuzione all’estero ( non bastava più sostituire le didascalie di un film) insieme all’inasprirsi delle tensioni politiche tra gli stati d’Europa che porteranno allo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale, misero fine a questo fecondo periodo della cinematografia europea di cui La Passione di Giovanna d’Arco rappresenta l’apogeo.
Riferimenti bibliografici e sitografia
D.Bordwell e K.Thompson, Tendenze internazionali degli anni Venti, in Storia del cinema e dei film. Dalle origini al 1945, Editrice Il Castoro, Milano 1998.
Sandro Bernardi, Le avanguardie francesi: il felice matrimonio di soggettività e oggettività , in L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio , Marsilio Editori, Venezia 2007.
Il cinema d’avanguardia 1910-1930 , a cura di Paolo Bertetto, Marsilio, Venezia 1983.
David Bordwell, Filmguide to ‘La Passion de Jeanne d’Arc’ , Indiana University Press, Bloomington 1973.
La Passione di Giovanna d’Arco, a cura di G. Guerrasio, Milano 1945.
Ettore Rocca, La Passion de Jeanne d’Arc, in www.treccani.it
Pietro Citati, Testimonianze – Carl Theodor Dreyer, in www.treccani.it
Carl Theodor Dreyer, in www.treccani.it
Renée Falconetti, in www.treccani.it
La passione di Giovanna d’Arco, in www.it.wikipedia.org
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