L’espressionismo, come movimento artistico, apparve per la prima volta intorno al 1908, principalmente nel campo della pittura e del teatro. Adottato in diversi paesi d’Europa, raggiunse la sua più intensa manifestazione in Germania. Come numerose altre avanguardie coeve, l’espressionismo consisteva in una reazione al realismo che aveva dominato l’arte figurativa fino alla comparsa dell’impressionismo, che per primo cercò una nuova strada per l’arte pur rimanendo sostanzialmente un’estetica legata al reale. In pittura, l’espressionismo si raccolse intorno a due gruppi principali: quello di Il Ponte e quello del Cavaliere Azzurro. I tratti più comuni dell’estetica espressionista furono quelli di evitare le sfumature, i chiaroscuri e tutte quelle operazioni sul colore che garantivano ai dipinti realisti un preciso senso del volume e della profondità, facendo uso di ampi campi di colori luminosi, piatti. Le espressioni dei personaggi ritratti erano grottesche, angosciate, le prospettive distorte.
Film precursore del movimento espressionista cinematografico può essere considerato Lo studente di Praga (1913) girato da Stellan Rye e prodotto da Paul Wegener. Il successo di questo film, tra i primi esempi di cinema d’autore indipendente, rese popolari i film di genere horror e fantastico, generi in seguito prediletti dai registi espressionisti.
Nel febbraio del 1920, a Berlino, venne proiettato per la prima volta Il gabinetto del dottor Caligari, la cui originalità colpì a fondo l’immaginazione del pubblico tedesco e successivamente quella del pubblico internazionale. Il film inizia con uno dei personaggi, Franz, che racconta ad un anziano signore la sinistra storia, accaduta nel 1830, nel piccolo paese di Holstenwall, dove un certo dottor Caligari, giunge per presentare il suo sonnambulo, Cesare, capace di predire il futuro. Contemporaneamente al suo arrivo, cominciano ad avere luogo nel paese delle morti sospette. Il racconto di Franz terminerà con la reclusione forzata del dottor Caligari in un manicomio. Solo alla fine scopriremo che tutti i personaggi del racconto di Franz, compreso lui stesso, sono in realtà gli ospiti di un manicomio e che il dottor Caligari altri non è che il dottor Oscar, medico e direttore dell’istituto.
La realtà distorta, come raccontataci da Franz, trova un riscontro iconografico nelle scenografie dalle geometrie deformate, nelle inquadrature-scene concepite e composte come opere pittoriche, dove gli attori si muovono in maniera innaturale, quasi danzando, divenendo così parte della scenografia stessa, come in questa scena in cui vediamo il sonnambulo Cesare muoversi rasente al muro quasi confondendosi con esso. Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene divenne il capostipite di quel genere cinematografico che fu chiamato espressionismo per via delle affinità con il movimento artistico.
Sempre nel 1920 uscì nelle sale Il Golem – come venne al mondo, diretto ed interpretato da Paul Wegener, che rappresenta l’antefatto del film perduto del 1915 Der Golem, sempre di Wegener. Il film, che pure presenta molti tratti caratteristici del cinema espressionista, ne manca forse quello più peculiare: la soggettivazione della realtà.
A differenza del contemporaneo impressionismo cinematografico, che faceva un uso particolare della macchina da presa, l’espressionismo puntava tutto sulla messa in scena: si dà un eccezionale rilievo alla componente grafica di ogni singola inquadratura che invece di rappresentare la tridimensionalità, si presenta come composizione biettiva. Il movimento umano potrebbe sconvolgere l’equilibrio geometrico di queste inquadrature, è per questo che i personaggi si muovono a scatti, rimanendo sovente immobili, i colori dei loro abiti sono spesso mimetizzati con l’ambiente, i loro movimenti simili ad una danza che si presenta come una successione di momenti di equilibrio. La soggettivazione della realtà esterna è uno dei principali elementi dell’estetica espressionista, il cinema se ne appropria piegando lo spazio esterno a spazio interiore e facendone il suo tratto distintivo più peculiare. Tali elementi estetici spiegano la predilezione dei registi espressionisti ad ambientare i loro film in un indeterminato passato o nella leggenda, come ne I Nibelunghi (1924) di Fritz Lang:
Il Dottor Mabuse di Fritz Lang rappresenta un caso eccezionale di film espressionista ambientato nel presente. La scelta di girare in studio, in set ricostruiti e perlopiù in interni, è invece dettata dall’esigenza di controllare ogni minimo dettaglio della messa in scena. Solo più tardi sulla scia dei film americani che ricominciavano a penetrare il mercato tedesco, si diffuse l’uso di girare in esterno, ricorrendo ad illuminazioni sempre più sofisticate e magniloquenti scenografie. Mettiamo a confronto queste due immagini di città, la prima tratta dal film di Paul Leni Il gabinetto delle figure di cera (1924), la seconda dal film Metropolis (1927) di Fritz Lang per meglio mettere a fuoco il rapido sviluppo della scenotecnica tedesca.
Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau, tratto dal Dracula di Bram Stoker, è uno dei pochi casi di film espressionisti girato in gran parte in esterni e che privilegia ambientazioni naturali a set artificiali. In questo caso il regista rinuncia a quella geometria deformata, tipica di molti altri film del genere, per comporre l’inquadratura sfruttando elementi naturalmente presenti nella scena. Quando Hutter varca la soglia del castello del Conte Orlok, la curva disegnata dalle sue spalle richiama l’arco del portale sotto il quale sta passando, mentre la volta di pietra in primo piano riproduce la linea della schiena ingobbita del Conte Orlok. In altre occasioni sono elementi naturali a caricarsi di sensi metaforici come le acque nere e dense sopra le quali viaggia il vampiro, incarnazione dei desideri oscuri dell’es.
L’estetica del cinema espressionista non può essere scissa dalle tematiche trattate. Malati di mente, vampiri, giganti di argilla: mostri, sono i soggetti che ricorrono con più frequenza. Mostri che irrompono in uno spazio scenico che intende ricercare un ordine geometrico, piuttosto che rappresentarlo. I temi trattati dai film espressionisti riflettono le tensioni di fondo che animavano la società tedesca di quegli anni: Da Caligari ad Hitler è il titolo di un saggio di Siegfried Kracauer che tenta di tracciare una storia psicologica della Germania di quegli anni attraverso il cinema espressionista, frutto e deposito dell’immaginario collettivo comune.
Oltre che dell’espressionismo, Murnau fu anche uno dei massimi esponenti del kammerspiel, un altro genere molto frequentato dai registi tedeschi degli anni venti e che per certi versi può essere considerato l’opposto dell’espressionismo. Kammerspiel significa letteralmente “dramma da camera”, i film ascrivibili a questo genere si basano su storie drammatiche che ruotano intorno a uno o pochi personaggi. Predilige le ambientazioni interne e raccolte. La recitazione, sovrabbondante nell’espressionismo, diventa qui misurata e controllata. La cinepresa si avvicina al personaggio per scrutarne ogni minima emozione. In L’ultima risata (1924), Murnau riesce straordinariamente a coniugare kammerspiel ed espressionismo. La drammatica vicenda di un portiere d’albergo che perde il suo posto di lavoro ci viene narrata attraverso un’estetica espressionista rintracciabile ancora in quella soggettivazione della realtà e nella composizioni dell’inquadratura.
Se l’espressionismo predilige inquadrature statiche, nel kammerspiel la cinepresa si fa fluida e mobilissima. Segue passo a passo i personaggi come a pedinarli senza però, arrivare mai a penetrarli: osserva il loro dramma da vicino, ma con costante distacco. Una scena esemplare in questo senso possiamo trovarla in L’ultima risata, quella in cui il protagonista apprende di essere stato rimosso dal suo incarico. La cinepresa è collocata all’esterno di una finestra che incornicia i due personaggi: il portiere e il direttore dell’albergo. Non appena il primo ha terminato di leggere il contenuto della lettera consegnatagli dal superiore, la cinepresa comincia a muoversi in avanti, attraversa i vetri della finestra e si arresta al suo fianco escludendo dall’inquadratura l’altro personaggio. Ma l’espressione sul volto del portiere ci è leggibile solo in parte giacché questi è ripreso di profilo | ►|. Numerosi altri movimenti di macchina, più complessi ed elaborati sono presenti in questo film: nella scena iniziale Murnau colloca la cinepresa su un ascensore in movimento e poi la spinge in avanti fino alla porta girevole dove incontriamo il protagonista | ►|, ma è nella sequenza in cui l’anziano portiere, ubriaco, comincia a sognare che Murnau raggiunge il virtuosismo più estremo | ►|.
Come Cabiria aveva sdoganato l’uso del carrello, così avvenne per i movimenti di macchina con L’ultima risata. I movimenti di macchina non rappresentavano una novità assoluta, ma la maestria con cui Murnau li eseguì liberò una volta per tutte la cinepresa dal peso del treppiedi. Questo testimonia anche l’alto livello tecnologico raggiunto dal cinema tedesco degli anni Venti. All’inizio del decennio, infatti, l’industria cinematografica nazionale era stata avvantaggiata dall’inflazione del marco che rendeva i suoi prodotti appetibili all’estero e favoriva la produzione di colossal a basso costo, vigeva inoltre il divieto di importare film dall’estero.
Questa situazione fu all’origine del progresso del cinema tedesco nel campo della tecnologia, della scenotecnica e dell’illuminazione. Con la ripresa del marco e con la fine del divieto di importazione le produzioni si fecero via via sempre più costose, la cinematografia tedesca entrò in crisi. Metropolis (1927) di Fritz Lang fu il film che chiuse l’esperienza espressionista. I suoi eccessivi costi di produzione finirono con il dare il colpo di grazia ad una cinematografia già crisi.
Metropolis rappresenta contemporaneamente l’apogeo e il tramonto del cinema tedesco degli anni Venti. La magnificenza dei suoi apparati scenografici, la perfezione dei suoi effetti speciali, ne fanno uno dei capolavori più visionari della storia del cinema. Ma questi elementi resterebbero pure attrazioni se il film non fosse retto da un solido impianto narrativo sotto il quale scorrono molteplici ed inesauribili sensi allegorici. Il tema della città divisa in due, in cui una élite di cittadini prospera riducendo altri in schiavitù, è ormai divenuto una sorta mito nell’immaginario cinematografico, ripreso in svariati film di fantascienza come Blade Runner, Terminator o Matrix, ma anche di animazione come l’omonimo Metropolis o le serie di Conan il ragazzo del futuro, Sfondamento dei cieli Gurren Lagan… senza contare i numerosi artisti che anche in ambito non cinematografico alla trama e ai personaggi di questo film si sono ispirati. Ma l’aspetto più stupefacente di Metropolis è quello dell’allegoria che si fa profezia. Come potrebbero le scene del cambio di turno tra gli operai della Città Bassa, non richiamarci alla mente l’ orrore dei campi di sterminio?
Con la crisi della produzione cinematografica e con la situazione politica che andava peggiorando Lang, come anche Murnau, lo sceneggiatore Carl Mayer e molti altri cineasti, preferì lasciare la Germania. Molti di loro poterono continuare a lavorare negli Stati Uniti dove erano già noti ed apprezzati e contribuirono con i loro talento e le loro esperienze allo sviluppo del cinema classico degli anni Trenta.
Riferimenti bibliografici e sitografia
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Siegfried Kracauer, From Caligari to Hitler. A psychological history of the German film, Princeton (NJ) 1947 (trad. it. Cinema tedesco, Milano 1954; Da Caligari a Hitler, Torino 2001).
Sandro Bernardi, La finestre dell’incubo, le avanguardie tedesche e il cinema scandinavo, in L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio , Marsilio Editori, Venezia 2007.
Leonardo Quaresima, Le origini dell’espressionismo, in www.treccani.it
Paolo Bertetto, Das Cabinet des Dr. Caligari, in www.treccani.it
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Kammerspiel, in www.it.wikipedia.org
Lo studente di Praga, in www.it.wikipedia.org
Il Golem – Come venne al mondo, in www.it.wikipedia.org
Metropolis, in www.it.wikipedia.org
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