All’indomani della Grande Guerra la cinematografia francese aveva perso il suo predominio internazionale e navigava in grosse difficoltà. I film di Hollywood, tecnicamente e artisticamente più evoluti, dominavano sul mercato. Nell’incerta situazione economica, i grandi gruppi industriali, come Pathé e Gaumont, preferirono limitare gli investimenti nel settore produttivo per puntare su quelli più sicuri della distribuzione e dell’esercizio. Il numero di film prodotti in Francia calò sensibilmente negli anni Venti, la produzione si concentrava soprattutto sui serial, capaci di indurre il pubblico a tornare in sala, sui film comici, mai passati di moda, e i film fantastici, genere derivato dai vecchi film a trucchi di Méliès e che ora poteva disporre di mezzi tecnici e linguistici ben più evoluti. L’esempio più interessante del genere ci è offerto dall’esordio registico di René Clair: Paris qui dort (1923), ambientato in una Parigi paralizzata da un misterioso raggio. Come accade in molti altri film del periodo, anche in questo mediometraggio la maggior parte delle scene sono ambientate in esterni o in location reali, sintomo di quanto gli studios francesi fossero ormai antiquati rispetto a quelli americani. Se ad Hollywood si lavorava per utilizzare in maniera sempre più sofisticata le fonti di luce artificiali, nella maggior parte dei teatri di posa di Parigi bisognava ancora far ricorso alla luce solare.
Tuttavia fu proprio a causa di queste difficoltà ed incertezze economiche che diversi produttori si trovarono disposti a rischiare ed una nuova generazione di registi ebbe la possibilità di esplorare il cinema come forma d’arte. Gli anni Venti furono in Francia, come in altri paesi d’Europa che versavano in situazioni simili, teatro di numerosi movimenti ed avanguardie cinematografiche. Il primo movimento a venire alla luce in Francia fu l’impressionismo, noto per questo anche come prima avanguardia(1)Il termine impressionismo fu adottato negli anni Quaranta da Henri Langlois e ripreso da Georges Sadoul. Il suo utilizzo appare giustificato dal teorico e regista Louis Delluc che lo impiegò in diversi suoi scritti. Altri storici fanno invece ricorso al termine di prima avanguardia, per distinguere questo movimento dalle successive avanguardie che interessarono il cinema francese degli anni Venti come il cinema dadaista o surrealista. (NdA).. Sia che considerassero il cinema come forma di espressione a sé stante, sia che lo considerassero come sintesi delle altre arti, i registi impressionisti furono concordi nel sottolineare la sua indipendenza dalle altri arti, in particolar modo dal teatro, e presero ad esplorare quelle che erano le specificità del linguaggio cinematografico.
L’ideologo di questo movimento fu, per l’appunto, Louis Delluc intorno al quale si raccolsero altri registi come Jean Epstein, Marcel l’Herbier, Germaine Dulac ed Abel Gance, legati tra loro da rapporti di stima e amicizia reciproche. Questo gruppo rappresenterà il nucleo centrale della prima avanguardia che comunque non costituirà mai un movimento compatto e programmatico. Pur condividendo alcune idee di fondo, collaborando e supportandosi a vicenda, questi registi operarono in maniera indipendente gli uni dagli altri.
Il concetto fondamentale a cui il movimento faceva riferimento era quello di fotogenia elaborato da Louis Delluc e Jean Epstein. Delluc definiva fotogenia quella particolare qualità delle cose e delle persone che può esser colto e rivelato attraverso la sua trasformazione in immagine filmica. Tale idea parte dalla convinzione che il cinema sia un linguaggio artistico, in questo senso l’artista, cioè il regista, non deve limitarsi a riprodurre la realtà quotidiana ma, attraverso le peculiarità del linguaggio di cui dispone, deve spingersi oltre per rivelarne quegli aspetti che vanno oltre la mera percezione sensoriale. A differenza di Delluc, che riconosceva la fotogenia come una qualità “naturale” intrinseca dell’oggetto, Jean Epstein la descrive come un elemento proprio dell’immagine cinematografica. Per Epstein la fotogenia è l’essenza stessa del cinema, la bellezza colta nel suo continuo divenire e trasformarsi. La fotogenia esiste solo in quel movimento che il cinema è in grado di catturare e riprodurre. La ricerca degli impressionisti si concentrò dapprima sugli elementi formali dell’immagine. Filtri, sovrimpressioni, dissolvenze, variazioni di fuoco, specchi deformanti… qualsiasi tipo di manipolazione dell’immagine poteva essere utile a questi registi per esprimere la soggettività dei propri personaggi, le loro emozioni, i loro pensieri, le loro impressioni.
Tra gli impressionisti, Delluc fu il più sobrio come possiamo vedere dal suo cortometraggio Fièvre (1921), egli utilizza in maniera molto parca tutte quelle alterazioni dell’immagini di cui faranno uso, e molto spesso abuso, i suoi contemporanei. Attraverso un attento e sofisticato uso delle luci e degli elementi scenici, egli tende a ricreare delle atmosfere nelle quali si rispecchiano gli stati d’animo dei suoi personaggi. La rinuncia agli artifici troppo evidenti, la tendenza al realismo e ai decori naturali, che distinguono le opere di Delluc da quelle degli altri impressionisti, deriva dalla sua concezione di fotogenia come qualità “naturale” dell’oggetto. Essa non viene creata dal cinema, ma solo rivelata. Pertanto il suo cinema presenta un approccio di tipo quasi documentaristico, sconosciuto ed anzi evitato dagli altri impressionisti.
Delluc produsse da sé, spesso con la collaborazione di altri registi, tutti i suoi lavori che sono esclusivamente pellicole di cortometraggio. Egli, infatti, sosteneva l’idea di un cinema indipendente, necessario all’artista per lavorare in piena libertà. Coerentemente a questo suo ideale, non si indirizzò mai al circuito commerciale, destinando le sue opere ad un pubblico di nicchia, fatto di critici, cineasti e cinefili. Ma la sua breve filmografia (morì nel 1924 a soli trentaquattro anni) e la sua opera critica, fornirono un contributo notevole nel riconoscere al cinema un valore artistico.
L’impressionismo di Marcel L’Herbier si esprime, al contrario, proprio attraverso l’utilizzo di numerosi espedienti di sofisticazione delle immagini tipiche della fotografia d’arte dell’epoca. In El Dorado (1921), ad esempio, utilizza un filtro per offuscare la figura della protagonista mentre danza in un cabaret, in questo modo sottolinea il fatto che la donna sta pensando a suo figlio lontano, quando gli altri personaggi la richiamano al mondo reale, il filtro scompare.
Nel Fu Mattia Pascal (1926), durante il viaggio in treno del protagonista | ►|, noi vediamo i binari dal finestrino dello scompartimento proprio come se li stessimo osservando con gli occhi di Mattia, a questa immagine L’Herbier ne sovrappone varie altre che riguardano il paese di Mirignano e la famiglia Pascal, in questo modo noi assumiamo non solo il punto di vista fisico del protagonista, ma anche quello psicologico.

Mattia Pascal ed il suo sosia Adriano Meis nel film di Marcel L’Herbier Fu Mattia Pascal interpretato dall’attore russo Ivan Mosjoukine
Quasi sempre queste sperimentazioni linguistiche non interessavano l’intero film, in genere solo alcuni frammenti. I soggetti e le sceneggiature risultano piuttosto semplici e finanche banali, l’innovazione linguistica degli impressionisti sta tutta nel modo di trattare queste storie. L’emergere di un ricordo nella mente del protagonista, un suo sogno, una reazione psicologica scaturita da un particolare evento, offrono al regista la possibilità di rivelare il suo mondo interiore, ed è in questi momenti che il loro cinema diventa impressionista.
La Souriante Madame Beudet (1922) di Germaine Dulac è uno dei pochi esempi di film interamente impressionisti. Sposata ad un ottuso e brutale commerciante di stoffe, madame Beudet ne è così esasperata da meditare il suo assassinio. La Dulac ricorre agli artifici più svariati per dipingerci le ossessioni, le ansie, la noia di questa figura femminile. L’immagine di un lago scintillante si apre sotto i nostri occhi mentre madame Beudet affoga la sua pena al pianoforte | ►|; effetti di rallenti, sovrimpressioni e specchi deformanti sono invece impiegati nella sequenza onirica che ci porta a visualizzare l’ossessione provata da questa donna per il proprio marito | ►|; mentre il vuoto interiore che madame Beudet sente crescere dentro se stessa viene espresso con il suo volto avvizzito che si riflette in uno specchio a tre facce | ►|.
Jean Epstein, che di Delluc fu l’amico ed il collaboratore più stretto, come questi affiancò la sua carriera di cineasta a quella di critico e teorico del cinema. Come abbiamo visto, egli sviluppò il concetto di fotogenia di Delluc in quello di fotogenia del movimento. Nei suoi primi importanti lungometraggi L’auberge rouge e Cœur fidèle, entrambi del 1923, si rileva l’applicazione pratica di questo concetto. Entrambi questi film denotano come la ricerca stilistica di Epstein non coinvolga più soltanto gli aspetti fotografici dell’immagine, ma anche il ritmo e la struttura del montaggio. In una scena di Cœur fidèle, Jean guarda il mare mentre invano attende Marie, la donna di cui è innamorato. Il volto di lei ci appare tra le onde, dovunque Jean posi il suo sguardo c’è Marie, comprendiamo così quanto grande sia la paura di quest’uomo di averla persa.
Questa scena, anche se sorprende per la sua raffinatezza estetica, fa ancora ricorso alla sovrimpressione, tecnica ormai tipica del cinema impressionista. In altri momenti, però, Epstein fa ricorso al montaggio per esprimere i sentimenti dei propri personaggi. Siamo nell’osteria dove lavora Marie, Jean ha rivelato al genitore adottivo della ragazza la sua intenzione di sposarla suscitando l’ira di Petit Paul, un tipo poco raccomandabile, ma che è il fidanzato ufficiale di Marie. Jean viene accerchiato dal suo rivale e dai suoi compari, Epstein monta una serie di primi piani e dettagli: sguardi arcigni, pugni, progressivamente queste inquadrature si fanno sempre più brevi fino a comporsi di pochi fotogrammi, la tensione aumenta fino a collassare nell’ultima inquadratura: un piano d’insieme che ci mostra Jean sconfitto allontanarsi. Ancor più intensa, grazie al ritmo serrato del montaggio e particolari movimenti di macchina, è la scena che si svolge nel luna park: i volti dei protagonisti, le giostre, la folla, tutto si mescola in un turbinare vorticoso di immagini che riflettono il caos interiore dei due innamorati.
Se Epstein fu il teorico della fotogenia del movimento, alcuni esperimenti linguistici sul montaggio era già stati compiuti da Abel Gance, che del nucleo originario fu l’esponente più lontano. Fin dalle sue prime opere andò concentrando la sua ricerca soprattutto sui legami, creati attraverso il montaggio, tra gli elementi ritmici interni all’immagine (come i movimenti di macchina), ed esterni (la durata delle inquadrature). Tale ricerca è già presente in La Dixième Symphonie, film che Gance realizzò nel 1919 e che fu la prima importante opera del movimento impressionista. La storia narra le vicende di un compositore che scrive una sinfonia capace di emozionare a tal punto gli ascoltatori da essere ritenuta discendente diretta della Nona di Beethoven. In quello che era un film muto, Gance cerca di restituire le impressioni suscitate dalla musica attraverso l’immagine, ricorrendo a sovrimpressioni e dissolvenze ma soprattutto ad un montaggio straordinariamente ritmico.
Tale ricerca ritmica sul montaggio prosegue e si esprime in maniera più compiuta in La rosa sulle rotaie (1923), dove Gance monta una di seguito all’altra una serie di immagini di durata inferiore al secondo per esprimere la confusione interiore della sua protagonista, similmente a quanto faceva Epstein in Cœur fidèle. Se la ricerca degli impressionisti si era finora concentrata sugli aspetti fotogenici dell’immagine, con queste due opere, uscite nelle sale nello stesso anno, la ricerca si sposta anche sul campo del montaggio.
Altre numerose tecniche sono impiegate da Gance in Napoleone (1927), nella scena della battaglia dei cuscini, ad esempio, arriva a dividere lo schermo prima in quattro poi in nove parti, in ciascuna mostrando un punto di vista diverso per esprimere la confusione che regna nella scena.
Per la sequenze finali del Napoleone, Gance utilizza, invece, tre cineprese affiancate per riprendere la scena della battaglia e quelle successive ottenendo così uno speciale formato panoramico, il Polyvision, che conferiva a tutta la sequenza una impressionante forza epica.
Le teorie impressioniste si diffusero presto all’interno della cinematografia francese andando ad interessare anche autori al di fuori del nucleo originario che in ogni caso si andava dissolvendo con la scomparsa di Delluc. Jean Renoir, secondogenito del celebre pittore, produsse in questi anni i suoi primi cortometraggi, lavori sperimentali che molto risentono dell’influsso impressionista come pure quelli del regista russo Dimitri Kirsanoff. La sequenza iniziale del suo Ménilmontant (1926), rievoca molto da vicino le sperimentazioni sul montaggio ritmico di Gance ed Epstein.
Proprio la rapidità con cui le teorie del movimento si diffusero provocarono quell’inflazione di tecniche ed idee che ne determinò la fine. Ben presto i produttori non furono pià disposti a finanziare opere del genere. I film impressionisti, seppur molto apprezzati dalla critica e da un ristretto pubblico di esperti e cinefili, non incontrarono mai il favore del mercato. Anche per questo molte opere erano state finanziate e prodotte dagli stessi autori, ma tali modalità produttive non potevano sopravvivere con l’avvento del sonoro che imponeva costi di produzione impossibili da sostenere senza l’apporto di un valido produttore. La caduta della casa degli Usher (1928) | ►| di Jean Epstein è uno degli ultimi capolavori ascrivibili all’impressionismo. Trasposizione cinematografica del celebre racconto di Edgar Allan Poe, questo film muto tenta di trasmetterci, attraverso delle immagini, le sensazioni di una musica che non possiamo udire.
Riferimenti bibliografici e sitografia
G. Sadoul, Déclin de la production française , in Histoire générale du cinéma, 4° vol., Le Cinéma devient un art (La Première Guerre Mondiale) 1909-1920, Denoël, Parigi 1947.
G. Sadoul, Débuts de Gance et Delluc (France 1915-1919) , in Histoire générale du cinéma, 4° vol., Le Cinéma devient un art (La Première Guerre Mondiale) 1909-1920, Denoël, Parigi 1947.
G. Sadoul, Marcel L’Herbier et le Cinéma français en 1919 , in Histoire générale du cinéma, 4° vol., Le Cinéma devient un art (La Première Guerre Mondiale) 1909-1920, Denoël, Parigi 1947.
D.Bordwell e K.Thompson, La Francia negli anni Venti, in Storia del cinema e dei film. Dalle origini al 1945, Editrice Il Castoro, Milano 1998.
Monica Trecca, Impressionismo, in www.treccani.it.
Edoardo Bruno, Abel Gance, in www.treccani.it
Monica Trecca, Louis Delluc, in www.treccani.it
Bruno di Marino, Germaine Dulac, in www.treccani.it
Valentina Pasquali, Jean Epstein, in www.treccani.it
Daniele Dottorini, Dimitri Kirsanoff, in www.treccani.it
Note
↑1 | Il termine impressionismo fu adottato negli anni Quaranta da Henri Langlois e ripreso da Georges Sadoul. Il suo utilizzo appare giustificato dal teorico e regista Louis Delluc che lo impiegò in diversi suoi scritti. Altri storici fanno invece ricorso al termine di prima avanguardia, per distinguere questo movimento dalle successive avanguardie che interessarono il cinema francese degli anni Venti come il cinema dadaista o surrealista. (NdA). |
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