Il 14 gennaio 1896, Birt AcresRobert William Paul Royal Photografic Society il loro brevissimo filmato Rough Sea at Dover, si trattava della prima proiezione pubblica in Gran Bretagna, ad appena due settimane di distanza dalla prima dei Lumière a Parigi. Il successo del film concorse ad una rapida diffusione del cinema in Inghilterra.
In quegli anni, Paul ed altri creativi cineasti, erano soliti riunirsi presso l’Hove Camera Club di Brighton, per vedere film e discutere di cinema. Ebbe così inizio il periodo più importante della cinematografia britannica delle origini, quello della scuola di Brighton attiva fino alla vigilia della prima guerra mondiale. Lavorando in un contesto di grande collaborazione e libera creatività, i registi di Brighton sperimentarono e misero a punto alcune soluzioni narrative di notevole importanza per lo sviluppo del linguaggio cinematografico. In un primo tempo i registi di Brighton cominciarono ad assimilare ed applicare tutti quegli effetti speciali che Méliès aveva sperimentato come esposizioni multiple, dissolvenze, stop motion. Ma se Méliès utilizzava questi effetti per provocare stupore e meraviglia, i registi di Brighton iniziano ad utilizzarli in maniera sempre più integrata e funzionale al racconto. Ben presto inizieranno a far uso di primi piani, a scomporre le scene in più inquadrature e a comporre le sequenze con più scene scoprendo e sviluppando per primi le principali tecniche di montaggio narrativo. Particolarmente interessante è l’opera del regista inglese George Albert Smith che, insieme al suo collega e vicino di casa James Williamson con il quale era solito collaborare e confrontarsi, introdusse alcune delle soluzioni linguistiche più originali ed innovative.
In The X-Rays (1898), ad esempio, Smith utilizza la tecnica dello stop motion per mostrarci le effusioni di due innamorati come visti attraverso una macchina a raggi X. La reazione dello spettatore scaturisce dalla buffa immagine che il regista ricrea, e non dalla sorpresa dovuta l’utilizzo di una tecnica inedita. In Let Me Dream Again (1900) | ►| fa invece ricorso ad una dissolvenza incrociata per sottolineare il passaggio dal sogno al triste risveglio nel mondo reale.
Smith era una fotografo professionista specializzato in ritrattistica e questo spiega come mai in questo film gli risulti così spontaneo riprendere gli attori in primo piano. Ciò rappresentava senz’altro una novità che il pubblico dell’epoca, però, abituato alla visione di spettacoli teatrali, dimostrò di non gradire molto: i primi piani apparivano innaturali, i volti ingigantiti oltre misura e la cinepresa non aveva pudore nell’evidenziarne difetti ed imperfezioni. Per qualche tempo Smith rinunciò a sperimentare questa tecnica su cui ritornerà in seguito.
In Santa Claus (1989), una doppia esposizione gli è utile per raccontare un’azione che si svolge in contemporanea: mentre i bambini dormono, sulla parete della loro camera si apre una sagoma circolare entro la quale possiamo vedere Babbo Natale che sta entrando dal comignolo. Allo stesso espediente ricorre James Williamson in The Little Match Seller (1902) | ►| per mostrarci le visioni della sfortunata ragazzina. Per esprimere la contemporaneità di due azioni, Smith opta già per una soluzione diversa in The Kiss in the Tunnel (1899) | ►|, scomponendo la sequenza in tre scene: il treno che entra nel tunnel, i due passeggeri che si scambiano effusioni amorose approfittando del buio, il treno che esce dal tunnel.
In questo filmato, sempre di George Albert Smith, abbiamo invece uno dei primissimi esempi di soggettiva, un’inquadratura in cui lo spettatore assume il punto di vista di un personaggio, affinché sia efficace c’è bisogno che nell’inquadratura precedente e/o in quella successiva ci sia presentato il soggetto dello sguardo, proprio come accade in questo film: nell’inquadratura A vediamo un uomo guardare attraverso un cannocchiale, nell’inquadratura B vediamo ciò che sta guardando ( ovvero una donna che sta provandosi una scarpa).
Smith, però, inquadra il guardone di profilo, mentre ci mostra la scarpina frontalmente. In una soggettiva corretta le due inquadrature dovrebbero rispettare la direzione dello sguardo ( Smith avrebbe dovuto inquadrare frontalmente anche il guardone). A quest’errore rimedia in parte con l’uso di un mascherino: è la sua sagoma circolare a farci capire, in questo caso, che ciò che si vede nella seconda inquadratura è visto attraverso un cannocchiale.
Ancora ai mascherini, Smith ricorre in Grandma’s Reading Glass (1900), dove diversi oggetti ci vengono mostrati attraverso la sagoma circolare di una lente di ingrandimento. La costruzione della soggettiva conduce inevitabilmente il regista ad alternare piani larghi, in cui si mostrano la scena ed i soggetti dello sguardo, a piani più ravvicinati che mostrano invece l’oggetto dello sguardo. In Sick Kitten (1903) questa alternanza tra piani larghi e stretti avviene senza più far ricorso a mascherini.
Nel film La disgrazia di Mary Jane (1903), invece, lo vediamo utilizzare lo stesso procedimento, non più per esprimere una soggettiva, ma per mettere in evidenza alcuni particolari della scena, come le macchie di lucido da scarpe sul volto della domestica pasticciona, che sarebbero passati inosservati se questa fosse stata ripresa a figura intera.
Questo tipo di montaggio è detto montaggio analitico e si basa sulla tecnica del raccordo sull’asse. Per raccordo sull’asse si intende il passaggio da un piano largo ad uno più stretto (o viceversa) che deve però essere realizzato senza mutare l’asse della macchina da presa. Queste tecniche, divenendo di uso comune, permetteranno ai registi di Brighton di elaborare storie sempre più articolate ed avvincenti.
In Francia, come oltreoceano, i registi continuavano, e continueranno per molto tempo, a filmare i personaggi a figura intera; nel Regno Unito, invece, i registi cominciano ad usare inquadrature ravvicinate con sempre maggiore frequenza ed il pubblico assimila la novità, del resto, queste inquadrature gli facilitano la lettura della scena. Ecco che ne Il grande morso (1901), James Williamson non solo fa uso del primo piano, ma si spinge fino al primissimo piano e al dettaglio. Questo film è particolarmente originale anche perché il regista fa uso di una sorta di carrello invertito dove ad avvicinarsi non è la cinepresa, ma l’attore.
In Salvato da Rover (1905), Cecil Milton Hepworth sembra voler metter in chiaro una volta per tutte le tecniche del montaggio contiguo e dei raccordi di direzione che ci permettono di comprendere il rapporto spaziale che collega due o più scene. Nel film il regista segue il percorso di andata e ritorno dell’eroico cane Rover (antenato di tutti i Lassie, i Rin Tin Tin e dei commissari Rex).
Nella prima sequenza vedremo Rover entrare dall’alto o da destra dell’inquadratura ed uscire sempre dal basso o da sinistra. Nel percorso di ritorno il cane Rover entrerà sempre dal basso o da sinistra per uscire sempre nella direzione opposta.
Per avere un’idea della modernità di questi registi dobbiamo considerare che ad Hollywood i raccordi di direzione, movimento o sguardo, cominceranno ad essere utilizzati sistematicamente solo negli anni Dieci. Così come la tecnica del campo-controcampo di cui James Williamson ci fornisce un primissimo esempio nel suo film Attack on a China Mission (1900).
Una sequenza del genere non avrebbe potuto essere concepita dal cine-teatro di Méliès. Molte delle sperimentazioni linguistiche adoperate dai registi di Brighton furono rese possibile dal fatto che essi scelsero di tornare, come i Lumière, a girare fuori dagli studi. Abbandonando le scenografie ricostruite essi possono esplorare con più attenzione la realtà circostante. Un’altra peculiarità dei registi di Brighton fu, infatti, quella di mescolare con grande libertà cinema documentaristico e cinema di finzione. L’esempio più celebre è Fire! (1901), ancora di Williamson, film che ispirà ad Edwin Stanton Porter il suo Life of an American Fireman (1903)| ►| , film che prova quanto questi pionieri del cinema inglese furono studiati e imitati dai loro colleghi di oltreoceano.
A Brighton si continuava a lavorare in maniera piuttosto indipendente ed alquanto artigianale. I registi erano, nella maggior parte dei casi, anche produttori, sceneggiatori e montatori dei propri film. Ciò li rese liberi di creare e sperimentare, ma segnò anche il loro declino. Le cinematografie di Francia, Italia, Stati Uniti, si andavano nel frattempo strutturando in un sempre più solido sistema industriale che permetteva loro di produrre film più competitivi sul mercato. L’Inghilterra venne ben presto tagliata fuori. Inoltre i produttori britannici che andavano via via affermandosi, preferivano investire su film tratti da opere letterarie o teatrali.
Riferimenti bibliografici e sitografia
D.Bordwell e K.Thompson, L’invenzione e i primi anni del cinema 1880-1904, in Storia del cinema e dei film. Dalle origini al 1945, Editrice Il Castoro, Milano 1998.
G. Sadoul, Le cinéma anglais avant 1900 , in Histoire générale du cinéma, 2° vol., Les Pionniers du cinéma, Denoël, Parigi 1947.
G. Sadoul, L’école de Brighton , in Histoire générale du cinéma, 2° vol., Les pionniers du cinéma, Denoël, Parigi 1947.
Francesca Vatteroni, Scuola di Brighton, in www.treccani.it
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Richard Brown, Birt Acrs, in www.victorian-cinema.net
John Barnes, Robert William Paul, in www.victorian-cinema.net
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Frank Gray, George Albert Smith, in www.victorian-cinema.net
Luke McKernan, Cecil Milton Hepworth, in www.victorian-cinema.net
Richard Brown, John Barnes, James Bamforth, in www.victorian-cinema.net
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